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Un ringraziamento da parte dell'Associazione, al sig. Alfredo Marciariello per i video e le foto. 

Per parlare di  Mia martini  vorrei percorrere  l’universo  dei  concetti di bellezza e di amore. Il pensiero di lei mi porta spontaneamente ad essi e viceversa.  Amore e bellezza innanzitutto come opposizione al volgare, al superficiale e al banale. So bene che si tratta di argomenti dagli orizzonti sterminati, ma io li affronterò in maniera molto semplice, quelli 
indotti dai sentimenti e dalle sensazioni da lei suscitati ed evocati. Forse è per l’incanto della luce nei suoi occhi. Le risate fragorose. L'anticonformismo.  La voce  magnetica, potente, intensa.   Prorompente, struggente, impetuosa, impietosa, feroce. Dolcissima. Che è anche un alito, un'aura di mistero, un'atmosfera, un effluvio,  a tratti  meno di un respiro ma, come un respiro, imprescindibile.  È  per tutto il male che le è stato fatto.  Eppure tutto questo non basta a spiegare questa passione, questo amore così lungo, questo pugno allo stomaco.  Non basta a spiegare perché la bellezza e l’amore sfuggono  a qualsiasi ragionamento, non si capiscono, non si spiegano, si provano.  Si fa presto a definire l’amore un sentimento, ma è riduttivo  definirlo così, i sentimenti cambiano, si evolvono.  L’amore va oltre il sentimento. L’amore è una forza. A conclusione  di quella meravigliosa opera  qual è il Cantico dei cantici posto al cuore della Bibbia si legge un frase straordinaria: forte come la morte è l’amore . Allora l’amore è una forza. Ma l’incontro con Mia è l’incontro con l’amore anche per altri aspetti. 
L’incontro con l’amore è l’incontro con qualcuno già presente in noi.  Chi s’innamora, in fondo, non sceglie, diceva Platone, come non sceglie chi si guarda allo specchio. Si riconosce, si riflette. L’altro rappresenta il nostro sé profondo.  Sull’impossibilità di concettualizzare queste sensazioni basti pensare a quando ci troviamo 
di fronte alla bellezza di un’opera d’arte. 
Non esistono canoni  per esserne colpiti. Un’opera d’arte può farlo, per il particolare ordine, il rigore che trasmette o, al contrario,  per il disordine  la suggestione del colore,  il nostro sguardo non riesce a catturarne il totale significato, lo stupore ci supera, ci trascende, rimanda  ad una  ulteriorità,  verso l’ineffabile, l’indicibile, l’invisibile.  Un grande pittore J0AN  Mirò diceva che l’arte non rappresenta il visibile ma l’invisibile nel visibile. Cambiando la forma ma non la sostanza, nella Lectio Magistralis su arte e fede il Cardinale Ravasi  afferma  che l’artista ha dentro di se un germe d’infinito,  una dimensione che lo precede e lo eccede, lo supera. Oltre che essere senza concetto, Il bello e l’amore, sono senza scopo.  Sono le due cose inutili, che non è un disvalore,  ma solo perché non fanno di conto, hanno  valore in sé, sono belle in sé, fanno vivere e sono i due scenari che danno un senso alla vita.   Misteriose qualità estranee al possesso, all’utilità, alla misurabilità. 
E’ la percezione di una vibrazione, quando è velata o addirittura deturpata o dimenticata, quando germoglia in un canto o nel profondo dell’animo umano.  Allora, la bellezza difetta di concetti, difetta di scopi, ma certo non difetta della capacità di ferire. La bellezza trafigge, così l’amore che iconograficamente viene rappresentato come un putto che lancia una freccia che ferisce, quindi la bellezza e l’amore trafiggono. L’arte è essa stessa una ferita, tutti noi conosciamo questa meravigliosa sensazione indotta inspiegabilmente da certa arte e artisti,  nelle sue varie espressioni, pittura, scultura, letteratura, fotografia, musica, canto di provocarci quella fitta pungente. Quindi l’arte è essa stessa una ferita  nella sua capacità di trafiggere.
Così quando guardiamo una perla 
ci dimentichiamo che la perla è la ferita, la malattia della conchiglia. Allora  la follia e il dolore la passione  sono spesso dietro le opere di tanti artisti, proprio come  
Mia portava tutto questo nella sua pelle esplodeva ed esplode nella sua arte, 
in un canto, con la sua voce, con la sua persona, viene a scolpire, 
incidendo in profondità, una ferita aperta, un turbamento d’amore. 
Quindi la bellezza come l’amore nel nostro sentire per lei è un tutt’uno ed è una forza,
qualcosa che inquieta, trafigge, paralizza e allo stesso tempo illumina, appaga, riempie.
Ma non siamo noi  padroni del gioco, è la bellezza e l’amore che ci giocano. 
E a noi piace stare e restare soggiogati dalla bellezza e dall’amore per
Mia Martini, padrona di questo gioco  abbacinante. 

Lucia Pellino

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